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lunedì 10 dicembre 2007

Dai "furbetti del quartierino" ai "furbetti del giornalino"

Historia magistra vita est. Recitavano gli antichi padri. Avevano torto. La Storia non è maestra di vita, ma cammina con i piedi degli uomini che non sempre calpestano prati verdi e campi fioriti, anzi molto spesso amano lasciare traccia nel brago e nella melma maleodorante. Tanto trovano sempre uno zerbino sul quale pulire le scarpe, visto che nel nostro Paese imbroglioni e impostori hanno sempre le scarpe lucide: dal rampismo di craxiana memoria alle scalate di immobiliaristi e bancari allegri, passati con disinvoltura dalle tavole rotonde con Governatori e imprenditori a quelle del palcoscenico, coltivando velleità canore e rivalse da avanspettacolo.

Quasi ottant’anni dopo massima è la rappresentazione del gramsciano “popolo delle scimmie”, di coloro che riempiono la cronaca ma non fanno la storia; lasciano traccia nel giornale ma non offrono materiale per scrivere libri. Il popolo delle scimmie è convinto “di essere superiore a tutti gli altri popoli della jungla, di possedere tutta l’intelligenza, tutta l’intuizione storica, tutta la sapienza di governo”. Vivono appagando capricci isterici e accusano gli altri - ieri come oggi i lavoratori - dei propri fallimenti, tanto trovano sempre un modo per pulirsi le scarpe. E poca importa se nello strofinare le suole sullo zerbino schizzano fango e merda su chi ha una unica colpa: avergli prestato ascolto cercando di svolgere al meglio il proprio lavoro. In Italia è consentito: gli imbroglioni imperano e vengono anche premiati da un sistema che non tutela i deboli e gli sfruttati. Così si permette di “creare” una nuova impresa editoriale a chi ha un conto in sospeso con i precedenti dipendenti, ancora in attesa - dopo quattro anni dal fallimento - di vedersi riconoscere quanto dovuto. Gente senza memoria che sfodera la Durlindana e si fa addirittura paladino della legalità con resoconti giornalistici da rotocalco, trovando persino seguito. Dalle scimmie ai beoti.


E il sistema italiano tutela anche chi si permette di fare impresa senza pagare i propri dipendenti, continuando a lucrare sul lavoro altrui, infischiandosene dell’autorità giudiziaria, delle carte bollate, delle più elementari relazioni sindacali. Tanto in Italia tutto è permesso e poco importa se si lasciano per strada i lavoratori, se non si consente, ex abrupto, l’accesso sul posto di lavoro, se si dequalifica la loro professionalità, se si calpesta lo Statuto dei lavoratori, costato sangue e battaglie anche a chi ora siede tra gli scranni parlamentari, persino su quello più alto e formula anche gli auguri di buon lavoro a un giornale che non c’è, che celebra il suo anniversario mentre sarebbe stato più opportuno ricordare il proprio trigesimo.


La cronaca ci consegna un Paese che ha perduto il senso del ridicolo. Un Paese marcio e clientelare, destinato a perire in fretta e in modo traumatico, finendo nel gioco di un despota. Eja eja alalà.

Maurizio Tardio